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Insonnia Assassina...

Ok, ho fatto di nuovo tardi con la console, e non ho voglia di scrivere un pezzo, nè riesco dal nulla a tirarmi fuori un argomento. Perciò ecco anche stavolta un raccontino niente male scritto parecchio tempo fa (il file riporta la data del 6 ‎agosto ‎2007). L'idea di questo racconto nacque durante l'ideazione di un background per un personaggio con cui "convivo" da moltissimi anni, Driller il guerriero. Inutile dire che durante la stesura del background questo si trasformò prima in racconto breve, per poi sfociare in una piena di idee che mi portò all'ideazione di una serie, chiamata appunto Driller Chronicles. La serie avrebbe dovuto riprendere l'idea di fondo delle avventure di Conan il Barbaro, nella quale l'eroe si muove da uno scenario all'altro con trame slegate, pur seguendo un filo conduttore che sfocierà in alcuni periodi caratteristici della vita del personaggio di Robert E. Howard. 

Ho detto che la serie "avrebbe dovuto" riprendere alcune caratteristiche delle avventure di Conan, ma si può chiamare "serie" se finora ho scritto solo due racconti? tra l'altro il secondo dubito anche di averlo terminato...
Vabbè, ho tergiversato troppo. Buona lettura ;)

Mi chiamo Bellik, e sono un oste. La mia vita procedeva tranquilla, ero sposato ed avevo una figlia. Vivevo in una città chiamata Last Hope, Ultima Speranza. Tuttavia, più che di una città si trattava di una decina di baracche decadenti situate su una piccola isola dispersa nell’oceano. Last Hope era stata fondata secoli orsono da dei pirati che, ritiratisi dall’attività, volevano un posto tranquillo dove poter passare gli ultimi anni della loro vita senza essere perseguitati dalla legge. Tuttavia, ogni tanto capitava che un cacciatore di taglie sbarcasse sull’isola, alla ricerca di uno o più bucanieri, nella speranza di incassare la taglia che pendeva sulle loro teste. Ovviamente tali individui duravano ben poco in circolazione: non appena mettevano piede in città, tutti i pirati si davano da fare per togliere di mezzo il disturbo il più rapidamente possibile. Nella mia carriera di oste ho visto un centinaio di individui di questo tipo, personaggi tanto sicuri di se da poter riempire la stiva di un galeone, ma con così poca sostanza che un boccale di birra in confronto era un oceano. Ma di tutti quelli che hanno sfidato l’autorità di Last Hope, soltanto uno è riuscito a lasciare un segno.
Io non so come si chiamasse, né che fine abbia fatto; so soltanto che quell’uomo, se di un uomo di trattava e non di un incubo uscito da qualche angolo dell’inferno, ha compiuto una carneficina che neanche un plotone di cento dei più feroci guerrieri avrebbe mai potuto fare: da solo dimezzò la popolazione dell’intera isola, incendiò più di 10 navi e rubò “La Regina dei Flutti”, il galeone del pirata Rutger Denti d’oro, che all’epoca era il pirata più pericoloso; il tutto in una sola notte.
Lo straniero arrivò una notte spacciandosi per un pirata. Prese una stanza alla mia taverna, e la occupò per 3 giorni. La notte prima del massacro, si intrattenne con me per una birra. Parlammo dell’isola e dei suoi abitanti, e gli raccontai di come vivevo tranquillo in mezzo ad un branco di pirati senza aver timore per la sorte di mia moglie e di mia figlia. Oramai i pirati si fidavano di me, come se fossi uno di loro. Senza contare che li rifornivo di alcolici, e questo per loro aveva un enorme valore. Comunque, quando mi intrattengo con un cliente mi piace sempre chiedergli il perché si trova a Last Hope. Non so perché ma ispiro fiducia nella gente: anche i più schivi finiscono per confidarsi con me. Quell’uomo fece lo stesso: non mi disse il suo nome, ma mi confessò di essere giunto a Last Hope per imbarcarsi come pirata. Tuttavia stando in città e frequentando pirati famosi con pesanti taglie sulla loro testa, aveva maturato l’idea di farli fuori ed incassare i soldi. Non mi stupii più di tanto per la sua affermazione, quanto per il sangue freddo con cui mi espose il suo piano; avevo visto tanti altri cacciatori di taglie prima di lui, ma qualcosa mi diceva che quest’uomo era capace di raggiungere l’obiettivo che si era prefissato, e questo senza eccessivo sforzo. I suoi occhi erano troppo sicuri, e mi ritrovai a pensare che forse lo straniero non era stato ispirato dalla mia fiducia, ma fosse arrivato da me apposta per raccontarmi tutto, come se avesse desiderato levarsi un peso dalla coscienza. Quella notte non riuscii a prendere sonno.
Fu così che mi ritrovai coinvolto. Come facevo ogni volta che non riuscivo a dormire, uscii di casa per farmi una passeggiata rilassante al porto. Giunto alle prime navi ancorate, mi arrivò alle orecchie il suono di una battaglia. Non ho mai avuto lo spirito di un guerriero; ho sempre avuto invece una malsana curiosità: fu quella che mi spinse ad indagare sulle origini della battaglia.
Il porto aveva la forma di un triangolo, con due lati sul mare ed un passaggio semi nascosto vicino alla costa sul lato Nord, per permettere l’ingresso nel porto delle navi. Io mi trovavo sul lato ovest quando mi accorsi della battaglia che infuriava sul lato nord. Volsi lo sguardo in quella direzione, e mi parve di vedere un lieve bagliore. Arrivai sulla punta del porto, dove si trovava la torre di vedetta, e mi volsi sul lato nord. Immediatamente capii cosa stava succedendo: qualcuno stava incendiando delle navi, ed era stato scoperto. Cercando di non farmi notare mi avvicinai al luogo del tumulto. Mi nascosi sopra una pila di vecchi barili di birra che stazionavano sulla banchina da anni ormai. Il tanfo dell’alcol mi nauseava, ma strinsi i denti. Mi affacciai e vidi che la battaglia infuriava proprio ai piedi dei barili. Per un attimo i miei occhi vagarono da un volto all’altro, colmi di un timore che prendeva forma dentro me. Poi, come un fulmine a ciel sereno, tutti i miei timori trovarono conferma, e vidi in mezzo al trambusto sotto di me una figura enorme, che mulinava un’arma di cui faticavo a riconoscere la forma, tanto veloce erano i movimenti del guerriero. Tuttavia sapevo di chi si trattava: era lo straniero. Non avevo mai visto l’arma che stava impugnando dabbasso per trucidare i pirati. Evidentemente la aveva tenuta nascosta per l’occasione. Ma quello che più mi stupiva era il fatto che lo straniero combatteva da solo contro centinaia di avversari, eppure non sembrava impaurito né stanco. Anzi, le sue labbra erano increspate verso l’alto, come se trovasse divertimento a scontrarsi contro numerosi avversari. E come biasimarlo, d’altronde? Chiunque capace di abbattere così tanti avversari avrebbe gioito della propria abilità in battaglia.
Mentre mille pensieri mi attraversavano la mente, anche l’ultimo pirata cadde sotto i colpi dell’arma del guerriero, che si fermò per qualche istante per riprendere fiato e riflettere sulla sua prossima mossa. Fu così che riuscii a dare un’occhiata all’arma dello straniero: si trattava di un’ascia. Un’ascia gigantesca. Il manico dell’arma era della stessa altezza dell’uomo e la lama ne eguagliava l’ampio petto glabro. Un’arma senza eguali. Al centro dell’arma, nel punto in cui si congiungevano lama e manico, brillava luminosa una pietra rossa dalle mille sfaccettature. Nell’insieme, la visione che mi si parò innanzi per quei pochi momenti mi riempì di terrore e rispetto. In quell’istante, lo sguardo dell’uomo si volse verso di me. Quello sguardo non aveva niente di umano, e conteneva una furia senza limiti. Allo stesso tempo, erano colmi di una tristezza profonda, come se sopportassero una maledizione, un peso inimmaginabile.
Non dimenticherò mai quella figura avvolta in un mantello nero, quell’enorme arma, distruttrice di vita. Mai dimenticherò gli occhi maledetti di quel possente guerriero, che brandiva un’arma pesante quanto un uomo con un solo braccio. Ma più di tutto, non dimenticherò mai quell’uomo, che mi risparmiò la vita per chissà quale motivo.
Infatti, quello che a me parve un’eternità, durò solamente pochi istanti. Quando tornai in me stesso, l’uomo non c’era più. L’ultima cosa che ricordo fu che lo vidi allontanarsi verso il paese.

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