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La fine dell'Everest...

Ok, anche sta settimana ho glissato il post... prometto che è l'ultima volta, poi scrivo qualcosa di impegnativo...
per ora beccatevi la terza parte, quella conclusiva, del racconto postato negli ultimi tempi... eh mi raccomando... ditemi che ne pensate!
Byez!



Mezzogiorno è passato da un pezzo quando mi stacco dalla tastiera della Everest.
Sono passati dieci giorni da quando ho trovato il cellulare, ma nessuno si è fatto avanti per reclamarlo. Non l’ho sentito più suonare, forse si è scaricata la batteria, ma non ho controllato, non mi interessa.
Durante questi giorni ho scritto tantissimo, concedendomi una pausa di qualche ora, solamente per mangiare e dormire.
Ormai ho accettato come normalità quello che succede davanti alla macchina da scrivere. Non tento di pormi domande e non sono neppure curioso di sapere cosa succede in quei momenti, quando chiudo gli occhi ed abbasso la testa.
Posso solo dire che in quei momenti sono presente con la mente, ma allo stesso tempo non sono li.
Da quando ho scoperto questo misterioso potere non ho letto una sola parola di quel che ho scritto. Ho sempre il timore di perdere questa abilità se mi azzardo anche solo a leggere una pagina, una riga o addirittura una sola parola.
Non so da cosa derivi questa mia paura, forse è solo scaramanzia.
La stessa scaramanzia che mi fa leggere l’intestazione del capitolo prima di “lasciarmi andare” davanti alla tastiera della macchina da scrivere.

Una volta alla settimana esco dal mio appartamento per fare un poco di spesa. Compro un sacco di cibi pronti, per non stare a cucinare, e una cassa di birra. Ho perso quasi del tutto l’abitudine al bere da quando ho iniziato a scrivere. Solo ogni tanto, quando quel maledetto mal di testa si risveglia, mi concedo una birra.
Oggi è uno di quei giorni in cui il mal di testa minaccia la mia sanità mentale. Ma avevo previsto che sarebbe successo, perciò ho gia preparato una birra sulla scrivania.
Apro gli occhi ed alzo la testa, riprendendo il controllo delle mie mani. Bevo un lungo sorso di birra dalla lattina, poi torno al lavoro.
Ormai sono arrivato al decimo capitolo, e sono a buon punto della storia. Almeno credo.
In parte mi da fastidio non conoscere i dettagli della mia storia, a volte ho l’impressione che si tratti di una storia scritta da qualcun altro. Ma questo non può essere possibile. Ed anche se lo fosse, chi se ne frega? Basta che io non lo sappia mai, in modo che sia convinto di essere l’ideatore del racconto. D’altronde, anche se andassi in giro a raccontare che una misteriosa entità si impossessa di me e scrive i racconti al mio posto, chi mi crederebbe? Diamine, è una situazione così assurda che potrei persino scriverci un racconto.
Perciò cerco di non pormi questi pensieri, anche se ogni tanto sono difficili da scacciare. A volte penso di voler mandare tutto al diavolo, rischiare di perdere tutto per togliermi la curiosità di leggere il mio racconto.
Poi ricordo la vicenda di Pandora e del Vaso dei Mali del Mondo. Quello è l’esempio perfetto di come la curiosità è dannosa se eccessivamente coltivata.
Ma sto divagando.
Due giorni fa ho cominciato a scrivere il decimo capitolo, ed oggi credo che lo finirò.
Ho intenzione di prendermi una pausa per quando arriverò al quindicesimo capitolo, staccare temporaneamente per riposare la mente ed il corpo.
Non so se questa mia decisione comporterà qualche rischio, ma ormai ho deciso, e non posso fare altrimenti. Ogni giorno che passa mi sento più debilitato, e di questo passo sarò tropo debole anche per scrivere.
Il mal di testa si riacutizza un attimo, e mi fermo nuovamente per bere un altro sorso di birra. Mi accorgo quasi per caso che il sole è gia calato, e guardando l’orario quasi non credo ai miei occhi.
Mi sembrano pochi minuti da quando ho ripreso a scrivere, eppure è gia mezzanotte.
Credo che per oggi possa bastare.
Finisco il capitolo, svuoto la birra e mi butto sul letto.

Ogni giorno che passa diventa più difficile resistere alla tentazione di leggere il mio racconto. Ieri sono riuscito a controllarmi, ed ho fermato la mano proprio quando stavo per toccare la pila di fogli accanto alla macchina da scrivere.
E’ stato il cellulare a salvarmi.
Ha squillato proprio al momento giusto, distogliendomi da quel pensiero. Però quando ho raggiunto il cellulare, il trillo si è fermato. Ho pensato che qualcuno avesse sbagliato numero, e sono tornato alla macchina da scrivere. Ho scritto per tutto il giorno, fino a mezzanotte, senza più fermarmi o ripensare all’accaduto.
Quando poi mi sono alzato dalla scrivania, ho mangiato un boccone in cucina e mi sono trovato a ripensare al misterioso cellulare. Così l’ho ripreso in mano e l’ho esaminato meglio.
Nella memoria del cellulare non ci sono numeri registrati, e neppure messaggi. Stranamente l’indicatore della batteria non è calato neanche di una tacca in quei giorni, come se la sua carica non si sia affatto consumata.
Mi è venuta in mente l’idea di provare il cellulare, quindi ho composto il numero della pizzeria sotto casa, aperta fino alle prime luci del mattino, ed ho premuto il pulsante di chiamata.
Dopo qualche secondo, una voce ha interrotto il segnale di chiamata.
- Pizza Speedy, buona sera. Come posso aiutarla? – è stata la risposta della commessa attraverso il telefono. Ho chiuso la chiamata dopo qualche secondo.
Si, il telefono funziona. Mi sono chiesto quanto credito residuo è rimasto nel cellulare. Non che preveda l’uso del telefonino, ma per qualche strana ragione il pensiero si è formato spontaneo nella mia mente.
Ho cacciato con forza quell’inutile pensiero. Poi, poggio il telefonino sul comodino e mi sdraio sul letto, ma non riesco a prendere sonno. Continuo a ripensare al misterioso cellulare. Mi chiedo di chi sia, e strane congetture mi affollano la testa. Improvvisamente il cellulare squilla, quasi evocato dai miei pensieri. Sulle prime non reagisco, convinto che sia il solito squillo solitario lanciato da chissà chi.
Poi il cellulare squilla una seconda volta, ed una terza. Prima che suoni una quarta volta, ho il cellulare in mano. Premo il pulsante di risposta.
- Pronto? – chiedo senza pensarci su due volte. Mi aspetto di sentire la voce del padrone del telefono, che vuol scoprire che fine ha fatto il suo cellulare. Forse vuole anche mettersi d’accordo per la restituzione dell'apparecchio. Lo spero, così posso togliermi dalla testa questa storia. Ma nessuno mi risponde.
- Pronto! C’è nessuno? – chiedo di nuovo, con più forza. Dopo qualche istante mi risponde una voce di donna, una voce giovane, calda e suadente.
- Matt, sei tu? – dice la voce.
Si, sono io. - dico senza riflettere. - Ma chi parla?
- Finalmente, ero preoccupata. Credevo che non avessi ricevuto il telefono. Perché non hai chiamato? – la donna mi sembra preoccupata mentre parla.
- Cosa significa? Con chi parlo? Chi...– chiedo io confuso. Comincio a sragionare o sta accadendo davvero?
- Sono io Matt, sono Mary. - si presenta lei, interrompendomi. - Senti, non c’è più tempo. Hai finito il lavoro? –
- Che lavoro? Non capisco. Io… - la voce mi interrompe nuovamente.
- Concentrati Matt, ascoltami attentamente. Devi finire al più presto, ne abbiamo bisogno. – la donna che ha detto di chiamarsi Mary si agita, e fa una piccola pausa, forse per calmarsi. Io rimango in silenzio. Poi Mary riprende a parlare, con un tono più calmo.
- Matt, quello che stai facendo è di vitale importanza per tutti noi. Sbrigati, non c’è più tempo. –
Improvvisamente la ricezione si fa più disturbata, e delle fastidiose scariche elettrostatiche coprono in parte le parole della donna.
- Abbi fiducia… io credo… nostra missione… scrivere. Ce la puoi fare…- Le scariche si fanno più forti, e la comunicazione cade.
Rimango per qualche minuto con il cellulare ancora all’orecchio, stordito dalle parole che ho sentito prima che il segnale della telefonata sparisse del tutto. Quella donna, di cui ignoro totalmente l’identità, ha detto di amarmi.


Sono passati due giorni da quella misteriosa telefonata, eppure ancora sono immerso nei dubbi, brancolo nel buio. Chi diavolo è Mary? E perchè dovrebbe amarmi? Gli interrogativi si accavallano uno sull'altro, riempendomi il cervello sino all'orlo. Decido allora che ho bisogno di distrazioni. E dopo quasi 3 settimane di isolamento dal resto del mondo esco, diretto al solito parco. Non mi trattengo molto, appena il tempo di un gelato e poi sono sulla strada di casa. Non succede niente durante il ritorno, anche se ho una strana sensazione, come se qualcosa che sarebbe dovuto essere fatto non è stato fatto.
Arrivo a casa, e sono quasi intenzionato a leggere le pagine del manoscritto che riposano accanto alla Everest; non so perchè, ma ho il presentimento che potrebbero chiarirmi un sacco di cose. Ma non ho neanche il tempo di voltarmi verso la scrivania che sento nuovamente il cellulare che squilla. Stavolta rispondo subito, aspettandomi di nuovo la voce di Mary. Invece, all'altro capo del telefono c'è un uomo dalla voce aspra.
Quando parla mi dice di tener duro, che questo blocco dello scrittore non durerà per sempre. Io vorrei rispondere che non ho il blocco dello scrittore, non più almeno. Ma il mio interlocutore sembra andare di fretta, e chiude bruscamente la chiamata prima che possa chiedergli qualcosa.
Più confuso che mai, decido di buttarmi a letto, sperando che la notte possa portarmi consiglio.

Il giorno dopo sono più ubriaco che mai. Ho ripreso a bere più di prima, ma ne ho bisogno. Ormai questa situazione sta diventando insostenibile, e non ce la faccio ad affrontarla con il cervello lucido.
Butto giu un altro sorso di birra, e continuo a scrivere, sempre con gli occhi chiusi, sempre con la testa china, come se quel che occorre per scrivere sia solo un paio di mani che battono sui tasti mentre nessuno le guarda.
Ormai questa pratica ha perso di significato per me, ma continuo a tirare avanti, rispettando le regole che mi sono autoimposto, nella speranza che prima o poi tutto ciò che sto scrivendo serva in qualche modo ad affrontare un disastro che sento imminente, inevitabile per alcuni, sconosciuto per altri. Giorno dopo giorno continuo a buttare giù qualche riga, sentendomi sempre più vecchio e stanco.

L'orologio segna la mezzanotte passata. Anche oggi ho scritto per parecchie ore di fila, e comincio a non poterne più. Mi butto a letto stravolto, e mentre il sonno mi agguanta, decido che l'indomani smetterò di scrivere...
- Se lo facesse ne rischierebbe della nostra immagine, signore.
Una voce nella testa mi riporta improvvisamente alla realtà. Mi ritrovo in piedi, davanti allo specchio del bagno, con una lametta in mano, pericolosamente vicina al mio polso destro. Un pensiero terribile mi invade la testa, e spaventato lancio la lametta in un angolo, e mi prendo la testa tra le mani.
Che diamine mi succede?

Sono ormai quattro giorni che non scrivo niente. Non so se mi siederò nuovamente a quella scrivania, per ora mi accontento di passare le giornate a letto, con lo sguardo sul soffitto bianco, ad inseguire i miei pensieri, alzandomi solo per andare in bagno o raggiungere il frigorifero e prendermi una birra. Nella tela immacolata dell'intonaco vedo me stesso inseguire una ragazza. E' bassa, bionda con degli splendidi occhi azzurri. In un momento di comprensione capisco che quella è Mary. Io e Mary ci amiamo, in un'altra vita forse, o in questa. Lei mi parla, dice che ho una missione da compiere, e che è importante per il nostro futuro. Io non capisco, e scuoto la testa. Poi mi accorgo che sono troppo confuso per poter continuare lucidamente questa discorso, e decido di muovermi a grandi passi verso l'uscita.
Batto gli occhi un paio di volte. Un altro sogno ad occhi aperti.
Scuoto la testa per recuperare un po' di lucidità, e non posso fare a meno di pensare che ormai i vapori dell'alcool si fanno strada nel mio cervello, senza che niente gli opponga resistenza. Ho smesso del tutto di mangiare, ma ogni giorno butto giu qualche litro di birra. Con questo pensiero il mio cervello si spegne, e piombo pesantemente in un desiderato e meritato riposo.

Riapro gli occhi all'improvviso, convinto che non sia passato neanche un minuto.
Ma inconsciamente capisco che mi sbaglio. Per terra, accanto alla scrivania, i frammenti della Everest giacciono sparsi in disordine. Con un piccolo sforzo ricostruisco gli avvenimenti della sera prima, mentre le visioni oniriche del sonno svaniscono come nuvole di fumo nella mia testa.
Mi siedo sul letto, getto uno sguardo al mio appartamento incasinato, e sbuffo.
Oggi giornata di pulizie.
Scendo dal letto ed infilo rapido la porta del bagno. Mi bagno abbondantemente il viso, e vado verso la cucina, passando accanto alla scrivania. Poi mi blocco improvvisamente. Torno sui miei passi, e rimango di stucco, mentre attimi sparsi del mio sogno mi tornano in mente, creando un caos di pensieri ed incredulità che si condensa come gelatina nel mio cervello: sulla scrivania, proprio accanto a dove la sera prima c'era la mia macchina da scrivere, un blocco di fogli bianchi, scritti a macchina, mi chiama a se.
Come in uno stato ipnotico, mi avvicino alla risma, prendo il primo foglio e comincio a leggere: “Capitolo 1...” 

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