Ah si, praticamente due settimane...
Vabbè, a sto punto aspetto un altro pò e faccio en-plein!
Scherzi a parte ho una buona scusa (per quanto inflazionatissima): sono ricco di impegni in questo periodo, sto seguendo un corso da Web Developer ed il fastidio alla gamba, rimediato il 17, non accenna a sparire... scusatemi, tempo una settimana e dovrei riprendere a scrivere qualcosa, anche perchè dovrei finire il corso ed avrò più tempo da sprecare :D
Nel frattempo vi lascio alla seconda parte del mio racconto "Everest", sperando che qualcuno abbia provato a leggerlo...
See you ASAP!
Non c’è un dolce riposo per me. Non me lo sono neppure meritato.
Continuo ad agitarmi e
rigirarmi nel letto, in preda a non so quali oscuri pensieri.
Alle quattro di notte mi
sveglio sudato, e mi alzo dal letto, dirigendomi in bagno.
Mentre urino, centrando
abilmente la tazza, mi reggo in piedi poggiando la testa alle
mattonelle verdi che tappezzano la stanza. Sto così per qualche
minuto, con gli occhi chiusi, anche dopo aver finito di pisciare. Il
buio mi vortica intorno, evidentemente sono ancora un poco brillo.
Appoggiandomi alla parete, cammino verso il lavabo, dove mi lavo le
mani ed il viso. Ancora una volta mi osservo allo specchio, e noto
che c’è qualcosa di nuovo nel mio volto: due occhiaie paurose.
Ho bisogno di riposo,
almeno credo, perciò torno in camera da letto e mi lascio cadere sul
mio giaciglio sfatto, senza badare a coprirmi. Rimango qualche
istante stordito, dal sonno e dalla stanchezza, poi mi addormento.
E per la prima volta da
oltre un anno, sogno.
Apro gli occhi e la luce
mi ferisce, sono costretto a ripararmi il viso con una mano. Il
calore del sole entra attraverso i vetri della finestra. Mi alzo dal
letto, pesantemente. Perdo un attimo l’equilibrio, ma lo recupero
istintivamente, prima di inciampare di nuovo in un piede del letto e
finire lungo, disteso appena sotto la finestra. Non ho avuto la
prontezza per attutire la caduta, tuttavia non mi sono fatto male. Mi
prendo un minuto di tempo per svegliarmi del tutto, poi faccio un
tentativo per alzarmi. Anche se faticosamente, riesco a mettermi in
piedi. Non riesco a capire tutta questa stanchezza. Mi sono sbronzato
altre volte, eppure oltre al mal di stomaco non ho mai avuto problemi
al giorno dopo. Strisciando i piedi vado in cucina, e nel fare questo
passo davanti alla scrivania dove tengo la macchina da scrivere. Sono
così assonnato che non alzo lo sguardo dal pavimento. In cucina mi
preparo un caffè, per cercare di svegliarmi del tutto. Mentre la
moka si riscalda sul fuoco, vado in bagno a darmi una rinfrescata.
Stavolta non mi basta bagnarmi il viso: metto direttamente la testa
sotto il rubinetto, e quando la sollevo bagno un po' ovunque,
disinteressato. Come mia abitudine mattutina, mi guardo allo
specchio, e vedo il mio solito volto barbuto, gli occhi rossi e le
occhiaie che li sottolineano.
Torno in cucina senza
asciugarmi la testa, con i miei lunghi capelli che lasciano una scia
di gocce sul pavimento.
Finalmente il caffè esce.
Prendo la tazza grande e la riempio, poi aggiungo 3 cucchiai di
zucchero, e sempre strascicando i piedi mi avvicino alla scrivania,
pronto nuovamente ad affrontare la sfida odierna contro il foglio
bianco.
Poggio la tazza e mi
lascio cadere sulla sedia, mentre uno sbadiglio mi fugge volontario
dalla bocca. Poi, sbuffando, mi sistemo comodamente, bevo un sorso di
caffè e mi preparo a scrivere. Prima di toccare la Everest, il mio
sguardo si ferma sulle uniche parole che sono stampate sull’odioso
foglio bianco: “Capitolo 2”.
Rileggo un paio di volte
quella riga solitaria, e sento un leggero formicolio alla base del
cranio, un fastidioso prurito. Ma non ci bado poi troppo. “Ieri
dev'essere stato un giorno ispirato” mi dico, “vediamo dove mi
porta oggi la mia immaginazione”.
Poggio leggermente le mani
sulla tastiera della macchina da scrivere, e lascio che le mie dita
trovino le posizioni di tutti i tasti, sfiorandoli.
I miei polpastrelli
scorrono sulle lettere dal ricamo argentato, assaporandone la forma.
Poi, nell’atto di concentrarmi abbasso la testa e chiudo gli occhi.
Immediatamente dopo, le mie mani si muovono sulla tastiera della
Everest, mentre il ticchettio delle lettere che si stampano sul
foglio riempie la stanza.
Immediatamente realizzo
che se non guardo il foglio e non penso a niente, le mani
acquisiscono una coscienza propria e scrivono di loro spontanea
volontà, quasi non fossero più le mie.
Dopo due ore le mie mani
si fermano, ed io sono libero dall’incantesimo. Ma il timore di
svegliarmi del tutto dalla magia e perdere questa possibilità mi
limita i movimenti, e riesco solamente ad afferrare la tazza del
caffè e sorseggiare un poco del liquido nero. Poi le mie mani
ripartono, e mi ritrovo con la testa china e gli occhi chiusi.
Mi stacco dalla macchina
da scrivere solo quando il sole ormai è sorto. Finora non ho letto
una sola parola di quello che ho scritto in quello stato di
semi-incoscienza, o trance. Ed ovviamente non ho intenzione di
leggere niente. Certamente è una azione dettata dal timore di
perdere questo potere, così improvviso quanto desiderato. Eppure
sento che c’è un’altra ragione che mi spinge in questa
direzione, ma non ho intenzione di indagare.
Mentre mi alzo dalla sedia
recupero la mia tazza di caffè e mi dirigo in cucina. Quando arrivo
la tazza è ormai vuota, ed il mio corpo ha recuperato un poco di
energie. Oggi non ho neanche voglia di bere. Mento, ne ho voglia, ma
non ne sento il bisogno.
Apro il frigo e mangio
velocemente i resti della cena di ieri. Poi vado verso il letto, ma
dopo qualche passo urto qualcosa e lo sento tintinnare sul pavimento.
Mi abbasso per raccogliere quello strano disco metallico, e quando lo
raccolgo me lo rigiro un attimo fra le mani. Mi accorgo che è un
tasto della macchina da scrivere, lo so perchè c'è riportata la
lettera M. Ma uno sguardo rapido alla Everest mi conferma che il
tasto non proviene da li. Non mi soffermo tanto a pensare. Lascio il
tasto su un mobile e mi butto sul letto, non perché mi senta stanco,
ma più che altro per l’orario. Questa volta fatico un poco ad
addormentarmi, ma quando finalmente il sonno arriva mi avvolge in una
nebbia nera e ristoratrice.
Il giorno dopo mi sveglio
tranquillo, come se avessi appena poggiato la testa sul cuscino,
eppure fresco come una rosa. Dopo la solita routine mattutina,
rieccomi seduto davanti alla Everest, dove eseguo nuovamente il rito
del giorno prima. Tutto funziona come deve, ed in men che non si dica
mi ritrovo guidato dalle mie mani, come un cieco che si fa guidare
dal suo cane.
Scende il sole, ma
stavolta non mi fermo. Voglio testare i miei limiti, i limiti del mio
potere insomma. Così continuo a scrivere. Anzi, le mie mani lo
fanno.
E quando, dopo qualche ora
riapro gli occhi, il sole sta spuntando, ed i primi raggi caldi
salutano il nuovo giorno.
Stavolta azzardo
un’occhiata alla scrivania, più per istinto che per effettiva
volontà.
In quel breve attimo noto
che una pila di fogli bianchi riposa accanto alla Everest, ed un
foglio, anch’esso bianco, è trattenuto dai rulli della macchina.
Su questo foglio è inciso solo: “Capitolo 4”.
Rimango impietrito alla
vista di quella montagna di fogli, non riesco a credere di averli
scritti io.
Ed in effetti non sono
stato io. Non nel senso stretto del termine. Si, sono state le mie
mani. Ma senza che dessi loro istruzioni particolari.
A questo pensiero comincio
ad agitarmi, e mi alzo di scatto dalla sedia, solo per finire col
sedere a terra. La lunga sessione di scrittura ha debilitato le mie
gambe, facendo loro perdere sensibilità. Rimango seduto sul
pavimento per qualche minuto, in attesa che le gambe si riprendano il
minimo indispensabile per sollevarmi in piedi e dirigermi al
gabinetto.
Mentre mi rinfresco la
faccia con dell’acqua fresca, non posso fare a meno di tornare a
pensare alla risma di fogli accanto alla macchina da scrivere.
E se fossero tutti
bianchi?
No, non può essere… se
fossero bianchi dove sarebbero finiti i fogli che ho scritto in
queste ultime ore? Sempre ammesso che abbia veramente scritto
qualcosa , e che non me lo sia sognato.
Finisco di lavarmi il
viso, mentre innumerevoli altri quesiti mi affollano la mente. Come
risultato, dopo qualche minuto un principio di mal di testa comincia
a scoppiarmi tra gli occhi.
Mi sdraio sul letto,
sperando che il mal di testa passi, ma non posso far altro che
constatare l’aumentare del dolore.
Allora vado in cucina a
prendere una birra dal frigo. Nello sportello c’è un’ultima
lattina. La prendo e la apro, e bevo a grandi sorsate.
Senza scompormi, lancio la
lattina ormai vuota nel lavandino, e torno in camera da letto, dove
mi sdraio nuovamente. Stavolta il mal di testa non torna, e posso
riposare in pace. Dopo alcuni minuti mi assopisco pesantemente.
Il trillo di un telefono
mi risveglia dal sonno. Apro gli occhi e scatto in piedi. Solo allora
mi ricordo che in questo appartamento non ho mai avuto il telefono
fisso, e neppure il cellulare. Forse quel suono me lo sono sognato.
E invece no. Dopo qualche
istante il trillo ritorna, più forte di prima. Mi guardo intorno, ma
sono sicuro di non avere telefoni o cellulari in casa. Il trillo si
fa più forte, ed io comincio a spazientirmi.
Poi, seguendo il suono
arrivo davanti alla porta del mio appartamento. Guardo dallo
spioncino, ma non vedo nessuno. Strano.
Apro la porta, dapprima
uno spiraglio, poi la spalanco del tutto.
Mi affaccio nel corridoio,
ma non c’è anima viva. Allora il mio piede sfiora un oggetto
lasciato per terra. Non mi meraviglio quando scorgo un cellulare.
Il telefonino ha smesso di
squillare proprio quando ho aperto la porta.
Allungo una mano, ma il
trillo improvviso del cellulare mi fa balzare di paura. Poi il trillo
cessa subito. Imprecando raccolgo il cellulare. Lo osservo. E’ un
comune telefonino, molto diffuso. Un poco vecchio, ma molto
resistente e con buona ricezione. Sul display lampeggia il simbolo
della chiamata persa. Pur non avendo mai usato quel modello riesco
facilmente ad accedere alla schermata delle telefonate ricevute.
L’unica che trovo viene da un numero che non mi dice nulla.
Stufo di questo mistero
scrollo le spalle, e mollo il cellulare sul mobile accanto
all’ingresso. Se qualcuno reclamerà il cellulare, sarò pronto a
liberarmene.
Ho altro da fare che
preoccuparmi di queste cose.
Meccanicamente, mi siedo
alla scrivania e guardando la macchina da scrivere sospiro. Appena un
minuto dopo le mie mani si muovono veloci ed agili sulla tastiera
della vecchia Everest, prive di qualsiasi incertezza.
4 commenti:
Ti sei dimenticato di parlare dei problemi riguardanti lo schermo del tuo laptop :)
Giusto... forse perchè i problemi che ho descritto mi sembravano gia abbastanza :P
se ti butti sul retro-chic con la macchina da scrivere, perché non ci metti davanti una bella segretaria :-)
Eh... bella domanda :P
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